venerdì 5 novembre 2010

25 luglio 2007 Chiusura della fase diocesana della Causa di Canonizzazione di don Ruggero Caputo

“Magister, volumus ut quodcumque petierimus a te facias nobis” (Mc 10, 35), “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiediamo”: figli di Zebedeo sono ancora tra noi. Continuiamo a voler insegnare a Dio come debba fare il suo lavoro divino. Non abbiamo imparato da chi ha detto: “… sed non quod ego volo, sed quod tu” (Mc 14,36), “Non quello che voglio, ma quello che vuoi tu”. E qual è la volontà del Padre?
“Estose ergo vos perfecti, sicut Pater vester caelestis perfectus est” (Mt 5, 48), “Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
Il testo greco adopera il termine éseste; direbbero gli esegeti: medio indicativo futuro, da considerare come un imperativo categorico, un’esortazione impellente, un dovere da adempiere. Un appello da prendere decisamente sul serio.
“ Signore, fa’ che io comprenda e ami e scelga e viva con la Tua grazia ciò che è essenziale”. L’esempio dei Santi possa incoraggiarmi.
Caro don Ruggero, umile prete della mia giovinezza, padre spirituale e guida dei miei primi passi nella sequela Christi, ispiratore della mia vocazione al sacerdozio e di tante sorelle per la vita di speciale consacrazione, servo della volontà di Dio, innamorato della croce di Cristo che hai accettato per amore della Chiesa, alla quale ti sei donato pretendendo l’ultimo posto… continua a suggerire, come hai tante volte fatto nel tuo ministero su questa terra, la via per la santità.
Quante volte ce lo hai proposto nelle confessioni, nella direzione spirituale e nella predicazione. Ce lo ripetevi sempre anche quando, litigando con il microfono dei primi rudimentali sistemi di amplificazione, le parole si accavallavano e dovevamo prestare un’attenzione maggiore. Amavi ripetercelo spesso in un gradevole dialetto che ti rendeva così vicino alle anime e ti permetteva di esemplificare, di essere concreto e convincente. Preferivi uno stile dimesso, rispettoso e sapevi ascoltare: non eri sbrigativo e frettoloso. Solo le tue ginocchia conoscevano il tuo segreto: davanti a Gesù Sacramentato e per tanto tempo. Avrai confidato solo all’Amore della tua vita le tue sofferenze, di un viceparroco a vita. Quando si inventavano le parrocchie per vere o presunte esigenze spirituali e per un molto concreto supplemento di congrua, tu hai continuato ad essere sempre nel posto che il Signore ti ha assegnato: nel ministero della confessione e in ginocchio davanti al SS.mo Sacramento. Non ti ho mai sentito proferire un cenno di protesta o una pur comprensibile rivendicazione.
Hai solo desiderato dimostrare con la tua vita: “Gustate et videte quoniam suavis est Dominus” (Sal 34 (33), 9), “Gustate e vedete com’è buono il Signore”. Ci hai voluto insegnare a conoscere, amare, servire, imitare Gesù.
“Nihil volitum quin praecognitum”, “Non si può volere ciò che non si conosce e non si ama”.
Grazie, don Ruggero.
E invoco la misericordia di Dio perchè sia riconosciuto in terra che sei in Paradiso. Tu lo avevi tanto desiderato.
Prego perché il Signore permetta la tua canonizzazione e incoraggi ognuno di noi ad essere immagine viva del suo amore.

Cari fratelli e sorelle,
che, leggendo, siete arrivati fin qui; comprenderete l’affetto umano e la gratitudine sincera e la santa ambizione di dire: “Cur et non ego?”, e perché io no? Anche noi dobbiamo tendere alla santità nella normalità. Per noi Materia Sanctitatis è la vita quotidiana.
Questo insegnava don Ruggero: cercare la santità nei doveri di ogni giorno, ma coltivando una vita di orazione. Ci ha insegnato a fare la meditazione, quotidianamente, con assidua fedeltà, ma non nell’anonimato bensì rivolgendoci a Gesù in un dialogo d’amore, a tu per tu, più spesso tacendo noi per ascoltare Lui che tacitando Lui perché ascolti il nostro vuoto chiacchierio. Ci ha chiesto di andare a Messa, ogni giorno, e di fare sempre la Comunione. Qualche volta ci ammetteva alla Comunione Eucaristica al di fuori della Messa perché non perdessimo questo dono: ricevere Gesù nel Santissimo Sacramento. Amava celebrare ogni sera la Funzione, cioè la visita a Gesù Sacramentato e la Benedizione Eucaristica in forma semplice. Per il vero, fu poi permessa la celebrazione serale della S. Messa, ma a don Ruggero in un primo momento, non fu consentito.
La strada della santità è lastricata da tante piccole e grandi mortificazioni. Desiderava che recitassimo il S. Rosario. Ci insegnò tante giaculatorie: sono quei messaggi brevissimi spirituali, magari per pochi minuti, e a sera, sempre, l’esame di coscienza. E la cura degli ammalati e l’amore per la Liturgia, la cura dei bambini e dei ragazzi, soprattutto dei chierichetti…
Era di Cristo un’immagine viva: un Alter Christus. Ma questo accade quando si vive in una profonda unione con Lui: “Qui manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum”(Gv 15, 5), “Chi rimane in me, ed io in lui, fa molto frutto”. Non bisogna dimenticare mai, e questa è la grande lezione spirituale dell’umile don Ruggero: “Manete in me” (Gv 15, 4), “Rimanete in me”. La vita interiore è l’anima di ogni apostolato.
Quanto più grande e profonda sarà la nostra intimità con Gesù, tanto più abbondante il frutto spirituale del nostro apostolato. Attenzione: frutto, non successo. Questa è un’altra cosa. Ma può molto più un uomo di vita interiore abitata dall’amore di Dio, che il nostro saper fare, la simpatia che suscitiamo, le capacità organizzative, i mezzi materiali…

Quindi, nel celebrare il

70° anniversario
dell’Ordinazione Sacerdotale
del Servo di Dio
DON RUGGERO CAPUTO
avvenuta il 25 luglio 1937 nella
Basilica Concattedrale
di S. Maria Maggiore di Barletta,
per le mani di Mons. Giuseppe Maria Leo
alle ore 20.00 del 25 luglio 2007 p. v.,
nella stessa Basilica,
nella Celebrazione Solenne dei Vespri
dell’Apostolo Giacomo il Maggiore
presieduta da Mons. Giovan Battista Pichierri
nostro Arcivescovo,
si darà conclusione alla fase diocesana
della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio.


26 luglio 1937: Don Ruggero Caputo nel giorno della Prima Messa Solenne, circondato dai genitori e da Emanuella, sorella maggiore


A tutti voi, confratelli nel sacerdozio,
il mio saluto affettuoso e la richiesta dell’elemosina di una preghiera. E il dono di un reciproco incoraggiamento ad essere nella Chiesa testimoni di Gesù e annunciatori di quella speranza cristiana che è Virtù Teologale, quindi infusa da Dio nell’anima, ma è anche dote personale, frutto di maturità umana e di sano ottimismo. Pieni di zelo apostolico. Capaci di amare senza misura: Dio e gli altri. Guai se un sacerdote è tiepido. Ha detto un confratello: “Un sacerdote tiepido è il peggior nemico delle anime”. Ma non bisogna nemmeno essere angosciati dal troppo da fare. Don Ruggero ha insegnato e testimoniato con la sua vita. A Gesù dobbiamo portare le anime. Ma “la nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del Suo volto” (NMI, 16), se noi non fossimo testimoni di Gesù. Non siamo forse Alter Christus o, addirittura, Ipse Christus? Lui deve essere vivo e presente in noi.
Noi siamo presenza di Cristo, Cristo stesso. Come Lui è immagine del Padre, noi siamo Sua immagine. Dobbiamo parlare con la Sua bocca, guardare con i Suoi occhi, benedire con le Sue mani, amare con il Suo cuore… Essere consapevoli che il bene soprannaturale di un’anima vale di più di tutto il bene naturale dell’universo. Ho letto da S. Tommaso: “Bonum unius gratia maius est quam bonum naturae totius Universi”, “Il bene di uno è grazia maggiore del bene di natura di tutto l’Universo”. Possiamo solo se frequentiamo abitualmente Gesù: “Ego sum vitis vera et Pater meus agricola est” (Gv 15,1), “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” che deve potare. Ed è giusto che lo faccia perché si porti più frutto. Accettiamo la purificazione della nostra persona, di tutto il nostro essere. Come i Santi ci hanno insegnato, è bene accettare la grazia della potatura.
Come don Ruggero, amiamo sempre la Chiesa, e il presbiterio, e il popolo di Dio… Mostriamo docilità verso i superiori in un’obbedienza sincera e leale… Liberi da ogni esteriorità… Pronti a servire, dall’ultimo posto, il nostro preferito.
Non dimentichiamo Gesù che nell’Ultima Cena lava i piedi dei suoi discepoli. é un gesto che modella tutta la nostra vita. Non spiega prima ciò che doveva fare; ma è tipico di Gesù: prima agisce, poi spiega. Devono parlare i fatti. Dobbiamo testimoniare con la vita. E lava i piedi anche a Giuda, nonostante… E poi spiega: “Exemplum enim dedi vobis…” (Gv 13,15), “Vi ho dato infatti l’esempio perché facciate anche voi quello che ho fatto io”.
Devo ricordare le parole di Gesù che nello stesso contesto, “con il cuore in mano”, secondo una nostra espressione popolare, aggiungerà:‘“Da questo momento tutti sapranno che siete i miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
Ecco ciò che il Signore ci chiede: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione” (NMI n. 43).

8 dicembre 2006
Solennità dell’Immacolata Concezione

Mons. Giuseppe Paolillo
vicario episcopale


TESTO E IMMAGINE TRATTI DA: www.dioeifratelli.it

immagine: 26 luglio 1937: Don Ruggero Caputo nel giorno della Prima Messa Solenne, circondato dai genitori e da Emanuella, sorella maggiore

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